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O meglio, sono strumenti potenzialmente utili per infiocchettare meglio contenuti solidi, ma potrebbero funzionare solamente se applicati – appunto – a strategie ragionate e contenuti realmente significativi, che comunque possono camminare con le loro gambe senza aver bisogno di “gridare al funnel” o adottando a caro prezzo gli strumenti più evoluti.
Il focus, infatti, è un altro: Prodotto e struttura del bisogno sono i due focus centrali da indagare
Il ragionamento sul Funnel Marketing può essere riportato con successo anche su altri aspetti del Digital Marketing: ad esempio sul Social Advertising che si può progettare tramite Facebook Ads o su immagini e video da pubblicare sui Social.
Quante volte abbiamo sentito che “è l’anno dei video”: lo sentiamo ogni anno. E in parte potrebbe pure essere vero, però… vige il ragionamento fatto poco fa.
Da dove cominciare: i bisogni e i gusti del Target Cliente
Il caso di oggi è emblematico. Si tratta di un piccolo subscription e-commerce mono-prodotto, legato a delle lettiere per gatto usa e getta. Ebbene si: kitty poo club. In super sintesi: una lettiera di cartone usa e getta con un materiale assorbente elimina-odori, la cui spedizione viene reiterata a casa in modalità sottoscrizione mensile, quindi appunto ogni 30 gg. Puoi ascoltare l’intervista completa in inglese al fondatore della start-up qui.
È interessante notare la strategia di lancio del prodotto (di nuova creazione) di questa start-up.
Dopo qualche analisi iniziale con un campione di utenti, per i contenuti delle pubblicità di lancio del prodotto la start-up decide di puntare quasi esclusivamente sulle “Consumer Testimonies”, ossia delle testimonianze di utenti che avevano provato in anteprima il prodotto.
Come comunicare queste testimonianze dal punto di vista visuale? L’idea iniziale è quella di adottare un approccio minimal e pulito stile Apple, ma il designer della start-up, paradossalmente, decide invece di intraprendere una via molto più casalinga: alcune grafiche vengono realizzate in stile “Power Point con immagini e frasi”. I video, in maniera analoga, anzi peggio: vengono usati dei video inviati dai clienti, prodotti solitamente con smartphone e senza molti fronzoli.
L’intento era chiaro: per le pubblicità, questi visual fai-da-te vanno in direzione del “post auto-prodotto”, con una modalità molto vicina alle Stories tipo “utente che vuole dimostrare ai suoi fan i risultati veri del prodotto”.
L’effetto “realtà” ottenuto è molto chiaro ed evidente, quasi da televendita. Risultato: migliaia di condivisione dei post pubblicitari, con effetto virale galoppante.
Le pubblicità venivano quindi realizzate con post sui Social che includevano:
Morale: quale utente vuole condividere una pubblicità? NESSUNO.
Risultati della Start-Up del settore Pet
Il messaggio di fondo di questa case study non è certo quello di rinunciare ad eseguire tecnicamente bene i propri contenuti, “perché tanto è uguale, anzi meglio”. No. Il messaggio è quello di porre sempre in primo piano i bisogni e i gusti del target cliente, unitamente alle caratteristiche di un prodotto veramente innovativo e utile.
Solo dopo questo ragionamento, arrivano gli strumenti e l’esecuzione tecnica, che – in casi estremi e non certo sempre ripetibili come questo (il settore Pet è fortemente emozionale) – possono addirittura diventare un ostacolo alla corretta esecuzione della strategia.
Il fondatore della start-up in questione spiega anche che in uno step successivo avverrà un’evoluzione del linguaggio comunicativo e sicuramente ci si sposterà dai video auto-prodotti e 2.0, per alzare il tono del linguaggio.
Però in questa prima fase, i video low-quality e i contenuti UGC (User Generated Content) sono stati l’unica via o quasi per dare un forte impulso virale sui Social, grazie a migliaia di condivisioni che hanno permesso il diffondersi del prodotto in poco tempo e con budget veramente ridotti in Facebook Ads.
A prescindere dai canoni estetici, da quello che fa la concorrenza, dagli strumenti in voga…
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